martedì 27 dicembre 2011

L' ITALIA E QUEI LAVORI DI CANTIERISTICA MAI FATTI

Proprio un anno fa, avevo scritto un articolo nel quale segnalavo quali erano, secondo me, le ammaccature della nave Italia sulle quali bisognava intervenire per consentire alla stessa di navigare più serenamente in futuro. A quella sintesi ero giunto dopo tante letture e riflessioni che mi avevano aperto le porte ad una rinnovata e più solida consapevolezza del funzionamento dell'economia e per essa della stessa società.

Ovviamente l'articolo non aveva nessuna pretesa, se non quella di stimolare forse qualche buon lettore ad approfondire e magari anche a sviluppare un possibile confronto costruttivo.

Ma indipendentemente da ciò, da cittadino di questo paese, mi aspettavo che la politica, quella più colta perlomeno, vista la deriva alla quale ci si stava abbandonando, in uno scatto di coraggioso orgoglio, avesse potuto affrontare per tempo qualcuna di quelle "ammaccature" che anch'io, nel mio piccolo, avevo individuato.Purtroppo sappiamo tutti come è andata a finire ed oggi più che mai, per noi cittadini, si prospetta una dura recessione.

Ribadisco il concetto, ci sarà una recessione dovuta al fatto che la pressione del debito non consente nessuna verosimile crescita del PIL. Oltretutto la manovra che i "tecnici" hanno approntato, servirà semplicemente ad abbattere ulteriormente i consumi allargando così il problema occupazionale.

Paradossalmente ci sarà anche una crescita dell'inflazione che, si badi bene, non deriva da un eccesso di moneta, ma al contrario proprio dalla scarsità artificiale della stessa nel sistema. Infatti la "rarefazione monetaria", abbinata ad una più elevata pressione fiscale, inevitabilmente porta a tensioni al rialzo sui prezzi. Ma se i prezzi aumentano e i consumi in proporzione diminuiscono si avrà quella situazione nota agli economisti come stagflazione ovvero la presenza simultanea di inflazione e disoccupazione.

Prima di chiudere questo mio ultimo articolo del 2011, vorrei però fare ancora alcune brevi riflessioni sul concetto di PIL e di Globalizzazione.

Adottando il criterio guida del PIL nella nostra società, abbiamo rinunciato alla politica a tutto vantaggio di un governo della finanza. Se il PIL infatti riflette il volume d'affari delle imprese, è chiaro che ogni scelta sarà indirizzata verso qualsiasi cosa che rappresenta consumo anche se inutile. Infatti se questo è il criterio al quale ci siamo conformati, non dovrebbe sembrarci strano che degli ortaggi che si producono (per quanto ancora?) anche in Italia, vengano trasportati in aereo da ogni parte del mondo per essere consumati sulle nostre tavole. Se poi quei trasporti aerei inquinano e consumano risorse inutilmente, poco importa purché il PIL goda di buona salute.

Una volta le imprese nascevano per soddisfare veri bisogni, ora vengono concepite solo per crearli artificialmente all'infinito senza per questo mai appagarli in una logica perversa dove si incentivano le dipendenze e si disincentivano le autosufficienze.

Eppure per chi conosce la teoria dei vantaggi comparati dell'economista David Ricardo, sa che quanto appena detto rappresenta un aspetto positivo del commercio globale, infatti secondo tale teoria, tutto ciò è perfettamente razionale in quanto consente di realizzare la massima efficienza produttiva ed una più equa redistribuzione della ricchezza e del benessere.

Peccato però che anche questa teoria, come quella della concorrenza perfetta, nella pratica sia disattesa a causa dei molti presupposti falsi su cui si fonda.

Volendo fare un esempio concreto di sperequazioni e iniquità derivanti dai vantaggi comparati, si può far riferimento agli accordi che in passato furono presi fra il Regno Unito e il Portogallo. Mentre il Regno Unito si dotava di fabbriche e macchine per la tessitura, il Portogallo, povero e arretrato, si specializzava nella produzione della lana da fornire ai produttori tessili dell'isola. Il risultato fu che il Portogallo rimase anche per questo motivo un paese povero e dipendente, mentre il Regno Unito divenne una potenza industriale in grado di imporre i suoi prezzi anche ai suoi stessi fornitori (1). Se vantaggi comparati quindi ci furono, è evidente che questi andarono tutti al Regno Unito.

(1) Nino Galloni, Marco Della Luna, La moneta copernicana, Nexus Edizioni,  Due Carrare (PD) 2008
,
Pubblicato su http://www.galatina.it/

domenica 13 novembre 2011

LA VIA D'USCITA




Ci troviamo nel pieno di una tempesta finanziaria ed economica che inevitabilmente ci travolgerà. La necessità del decumulo del capitale ha già imposto al paese tutte quelle regole di “buona condotta” che dovranno essere rispettate affinché non sia additato come inaffidabile e indegno. Privatizzazioni, riduzione del welfare, svendita del patrimonio pubblico saranno i prossimi provvedimenti che la politica dovrà perentoriamente adottare per tenere la nave a galla secondo i dettami dell’attuale sistema finanziario e bancario. Ovviamente tutti i costi di queste “manovre ormai standardizzate”, (definirle politiche sembra un’azzardo) ricadranno pesantemente sulla maggior parte dei cittadini del paese senza che nessun governo, né di destra, né di sinistra o “tecnico”, al di là della solita retorica, potrà o vorrà evitare.

L’unica vera via di fuga da questa economia ormai imbrigliata in un formalismo che ha confuso i mezzi con i fini, è quella di un risveglio radicale delle coscienze. Se ciò avvenisse, forse potremmo finalmente scoprire che è possibile passare da un’economia della scarsità ad una più abbondante ed equa e in sintonia con le esigenze dell’uomo. Ma un cambiamento di questa portata, per essere in grado di aprire nuovi orizzonti e grandi opportunità, ha bisogno prima di tutto di dotarsi di onestà intellettuale e di un pensiero libero da pregiudizi e ideologie. Se si riuscisse in questo esercizio, sarebbe finalmente possibile mettere in discussione antichi dogmi e spauracchi di ogni genere per avviare così una pacata e democratica riflessione sulla creazione e gestione della moneta.

Rendendo i cittadini consapevoli di come funziona lo strumento monetario, si avrebbe prima di tutto il vantaggio che nessuna “autorità” potrebbe impadronirsi arbitrariamente e senza legittimità del mezzo. Parafrasando la famosa frase di quel Georges Clemenceau a proposito della guerra, potremmo finalmente dire che: “La moneta è una cosa troppo seria per lasciarla ai banchieri”.

Tuttavia un cambiamento radicale in questo senso, dovrebbe anche mettere in guardia sul fatto che la moneta, se non gestita con la dovuta attenzione, invece di agevolare adeguatamente gli scambi e le attività economiche, rendendole floride, rischia di trasformarsi in una spirale inflattiva assolutamente da scongiurare.

Tutto ciò implica che anche le spese dello Stato dovrebbero essere orientate prevalentemente a investimenti utili alla collettività (infrastrutture essenziali di base.) e solo per una residua parte di esse alla spesa corrente che sarebbe, a quel punto, finanziata esclusivamente dalle imposte.

Pur trattandosi di una soluzione radicale, rimane comunque da sciogliere il nodo cruciale di come farla passare attraverso le istituzioni repubblicane. Di certo con un governo dimissionario poco incline a far legiferare e con il fiato sul collo della finanza bancaria, le possibilità sembrano ridursi ad un lumicino. Ma quando si arriverà veramente a raschiare il fondo, le vie del Signore potrebbero essere infinite.

pubblicato su: http://www.galatina.it/

martedì 4 ottobre 2011

IL DENARO: UNA RAZIONALE ILLUSIONE

Circa una decina di anni fa lo scrittore Jeremy Rifkin nel suo libro “L’era dell’accesso”, ipotizzava come la società dell’informazione del nuovo secolo, sarebbe stata quella, nella quale, l’uomo si sarebbe finalmente affrancato dalla “schiavitù” del lavoro ed avrebbe sperimentato così una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e del benessere. Tuttavia lo stesso autore, non nascondeva anche le insidie che il potere dei “nuovi tiranni” avrebbe cercato di perpetrare ai danni dei popoli attraverso la gestione dell’accesso ad ogni attività e sulla possibilità, da parte degli stessi, di controllare la vita di ogni singolo individuo. Oggi quell’ipotesi, per certi versi, sembra si stia avverando. Siamo certamente una società più connessa e quindi più informata. Ma, proprio in conseguenza di ciò, avendo acquisito maggiore consapevolezza, stiamo sperimentando come l’esercizio della democrazia sia sempre più un tentativo illusorio di raggiungere l’orizzonte.

Per comprende meglio questo aspetto, basti pensare a come gli assetti costituzionali degli stati in generale, ci abbiano fatto assurgere allo status di cittadini, dimenticandosi però, di lasciarci quel diritto di base fondamentale per essere tali e cioè la sovranità monetaria.

Non si capisce infatti come mai, tutti dipendiamo per la nostra vita dal denaro ma, guarda caso, proprio su quello, non possiamo esercitare, da veri cittadini, nessun potere sovrano. Molto spesso si dimentica volutamente di dire che, a dare valore e fiducia al denaro, sono i popoli con il loro lavoro e non certo una stampante di qualche “autorevole” ufficio autorizzato per legge a crearlo e venderlo come se si trattasse di una risorsa scarsa.
Nella millenaria, e per certi versi affascinante, storia del denaro, tuttavia va detto che il potere di batter moneta non è mai stato una prerogativa del popolo, ma solo del sovrano. Oggi però la storia ci sta insegnando che quella geniale invenzione, volta a: facilitare gli scambi, a misurare il valore, ad essere mezzo di pagamento, diventando anche pura credenza di deposito di ricchezza, ci sta imponendo una vita sempre più disumana.

Il denaro non ha bisogno di alcuna copertura, non ha bisogno di alcuna risorsa esterna che gli dia valore, non ha costi elevati e né un limite di producibilità (oltretutto oggi si è persino smaterializzato per essere solo bit elettronico).

L’unico limite che gli si impone è quello di essere utilizzato in modo opportuno affinché possa tradursi in beni e servizi reali. Quando lo si distrae da questa funzione fondamentale, lo si tradisce a favore di un atto predatorio e di esproprio gratuito della ricchezza creata dal lavoro. Ecco perché denaro e sovranità monetaria giocano un ruolo cruciale nella produzione e nella distribuzione della ricchezza.

Di quanto il denaro fosse importante nel determinare il corso della storia lo aveva capito a suo tempo anche Karl Marx ma oggi, sembra quasi che ce lo siamo dimenticato infatti, nonostante lo rincorriamo sempre più freneticamente, non ci mettiamo mai a riflettere sulla sua vera natura. Ci vantiamo di essere una società razionale e scientifica ma poi crediamo ancora che il denaro incarni una qualche entità concreta.

Una piena e diffusa comprensione di cosa sia il denaro e di come esso viene creato, utilizzato e gestito, significherebbe per i popoli fare un salto di civiltà. Lavoratori autonomi, dipendenti, risparmiatori, contribuenti, etc, capirebbero che con il loro lavoro scambiano ricchezza con il nulla e quindi, con tutta probabilità forti di questa consapevolezza, potrebbero rivendicare una gestione più democratica e più giusta da parte delle istituzioni e/o organizzazioni private alle quali hanno “delegato” la gestione del denaro e quindi, della loro stessa sovranità monetaria.

Se il denaro è unione del presente con il futuro, una sua monopolistica e affaristica gestione privata non consente di sviluppare nessuna progettualità a favore delle nuove generazioni che, per questo, saranno sempre più identificate come cittadini del nulla. Il denaro è una delle invenzioni dell’uomo fra le più efficaci e come dice Niall Ferguson nella frase di chiusura del suo libro dal titolo “Ascesa e declino del denaro”: “Non è colpa dello specchio se riflette la bellezza e allo stesso tempo, tutti i difetti dell’uomo”.

Perseverare però nel gioco folle di creare denaro dal denaro in un avvitamento senza fine generando debito,usura e miseria, servirà solo a creare un mondo triste, grigio e fatiscente dove, anche tutti gli attuali John Law ,si sentirebbero, prima o poi, inevitabilmente a disagio.

sabato 16 luglio 2011

IL TAPIS ROULANT

E’ arrivato il momento dell’Italia. Il suo debito ormai esorbitante, ha necessariamente bisogno di un correttivo altrimenti il sistema va in default. Proprio in queste ore si sta approntando una pesantissima manovra economica che, nel migliore dei casi, renderà molti italiani ancora più poveri e frustrati di fronte ad un sistema che sembra voglia solo vessarli e renderli inadeguati. Con tutta probabilità, molti imprecheranno verso l’insensibilità e l’egoismo di coloro che presumibilmente riterranno responsabili del loro malessere e delle loro continue rinunce, ma poi, con un impareggiabile senso di rassegnazione e dignità, ricominceranno a guardare alla loro vita cercando di tenere a bada quell’incubo onnipresente di perenne scarsità.


Eppure anche se può sembrare strano, la colpa di quanto avviene, solo in parte può addossarsi a qualche soggetto in modo specifico. In realtà l’intera economia “moderna” è strutturata come un grande piano inclinato dal quale ogni singola ricchezza che viene creata, è destinata a scivolare via inesorabilmente verso un punto più in basso. Si tratta di uno squilibrio creato ad hoc in modo da poter approfittare all’occorrenza di risorse produttive a basso costo. Quando poi un’area è stata sufficientemente sfruttata e quel mercato non garantisce più alti profitti, quella stessa area viene abbandonata a se stessa per altri nuovi luoghi da sfruttare.

Questi squilibri sistemici sono creati semplicemente attraverso il debito infinito e la scarsità artificiale che si crea grazie all’utilizzo del denaro reso anch’esso artificialmente scarso.

In questo modo il sistema monetario basato sulla moneta-debito, si trasforma in un tapis roulant sul quale è necessario correre incessantemente e freneticamente per inseguire una crescita perpetua malgrado la qualità della vita in media rimanga stagnante. Ciò significa che, per rimanere allo stesso posto di partenza, il costo del denaro (o tasso d’interesse) deve determinare il tasso medio di crescita economica. Una crescita ormai esasperata che sta esaurendo tutte le risorse del nostro pianeta.

Competizione e crescita sono quindi ingredienti indispensabili per rimanere saldi sul tapis roulant e a poco serve imprecare contro qualcuno se le nostre vite perdono ogni giorno momenti preziosi della loro esistenza. Nessuno può ascoltarci perché tutti sono concentrati a reperire con sempre maggior fatica la propria dose di interessi da dare al sistema.

Finché si continuerà ad ascoltare questa sirena non c’è via di scampo, ma se solo provassimo a fermarci su quel tapis roulant, il castello di carte crollerebbe immediatamente e a nulla servirebbero i continui appelli alla crescita e alla competitività da parte di questa o quella autorità.


Milano 14/07/2011

Pubblicato su:  http://www.galatina.it/

venerdì 20 maggio 2011

INESORABILE DESTINO

Oggi l’umanità si trova ad un nuovo giro di boa e nel mezzo di un altro grande sconvolgimento sociale.

La prima grande trasformazione avvenne intorno al XVIII secolo, quando a seguito della recinzione delle terre in Inghilterra e l’annullamento del sistema del sussidio ai poveri (Speenhamland), si creò, in linea col nascente pensiero liberale, il “mercato” del lavoro destinato a servire l’industria e la nuova società mercantile.
Motore di quel cambiamento fu oltretutto la pratica del prestito ad interesse che, fino al XVI secolo, sia per motivi religiosi che legali veniva severamente proibita in tutte le società occidentali.. Quando poi il denaro iniziò ad essere creato anche dalle banche attraverso il debito, gli effetti sulla società furono, e lo sono ancora oggi, pervasivi e molto forti. L’applicazione dell’interesse generò tre conseguenze fondamentali sulla società: incoraggiò la competizione, impose il bisogno continuo di crescita economica e trasferì il denaro da una moltitudine di soggetti a una piccola minoranza.

Queste conseguenze spinsero la civiltà all’interno della cosiddetta rivoluzione industriale cambiando radicalmente la vita di moltissime persone.

Oggi, il sistema monetario basato su quella antica pratica, nonostante la storia lo abbia già giudicato obsoleto e per nulla adatto alle odierne civiltà, continua ad esistere e resistere ignorando e/o svilendo, tutte quelle voci che ne invocano la sua trasformazione.

Viviamo (purtroppo) un tempo in cui i popoli sembrano essere diventati quasi superflui e gli stati, privati delle loro prerogative di sovranità, non possono sviluppare nessuna politica seria ed efficace di redistribuzione della ricchezza. Assistiamo ad una polarizzazione della società dove una ristrettissima oligarchia diventa sempre più ricca a scapito anche di una classe media che viene per questo sempre più annullata.

Una volta era il lavoro che serviva a creare il denaro utile a vivere, oggi invece il lavoro ha un ruolo del tutto marginale perché è il denaro che crea altro denaro e con esso quel potere illimitato con il quale acquista gli uomini e la loro libertà.

E’ il trionfo del mercato delle multinazionali e della finanza globale, creativa, derivata e quanto mai speculativa. Ogni diritto o conquista sociale non ha più valore perché esiste solo il consumo obbligato, omologato e velato da una finta libera concorrenza

Eppure se i popoli, attraverso i loro stati sovrani, si riappropriassero della loro legittima sovranità monetaria, forse potrebbero ancora cambiare il corso di questo tempo e vincere questo inesorabile destino.

Ma questa, è solo una modesta opinione.

Pubblicato su: http://www.galatina.it/

martedì 29 marzo 2011

OLTRE IL CAPITALISMO E LA BRAMOSIA DEL CAPITALE

Da quando è venuta meno la competizione con il sistema comunista, il capitalismo, sembra essere rimasto l’unico riferimento possibile per immaginare la vita e il futuro delle persone. Forse l’unica vera novità che lo ha caratterizzato dagli anni novanta in poi, è stata quella della sostituzione del suo nome con il termine più accomodante e più “democratico” di economia di mercato. Nonostante i fiumi di libri scritti e la forte dialettica che lo ha sempre caratterizzato, oggi il capitalismo sembra però quasi trovarsi in presenza di una sua progressiva accettazione anche se, il sentimento che in realtà qualcosa non funzioni, si fa sempre più diffuso.
Fasce sempre più ampie di popolazione infatti, sentono di essere ormai in un vicolo cieco; dove parole come sviluppo, politica economica, globalizzazione, suonano come vuote e senza alcun significato, di fronte alle crescenti difficoltà nell’ affrontare la vita.

Considerare il capitalismo da un’ottica strettamente antropologica permette di coglierne l’essenza e capirne sempre più la sua realtà. Una realtà che al di là delle parole nuove che di volta in volta si coniano per tradurlo in qualcosa di più attuale e di adeguato ai tempi, in sostanza racconta da circa trecento anni, sempre la stessa identica storia fatta di sfruttamento, diseguaglianza, abuso, cinismo, egoismo.

Tuttavia anche se la sua genesi è da ricondurre ad usura e guerre, oggi lo stesso capitalismo grazie alle sue conoscenze, alle sue tecniche produttive e alle sue capacità tecnologiche, consente all’umanità, almeno teoricamente, di provvedere in brevissimo tempo alla domanda di alimenti, vestiario, alloggi, istruzione, sanità per tutti gli abitanti del pianeta. Nonostante però esso rappresenti un’economia di sovrabbondanza e sprechi, gran parte della popolazione o sopravvive o vive male nell’indigenza e nella malattia.

Allora è più che lecito domandarsi se tale modello economico sia ancora perseguibile o se invece non sia il caso di pensare a qualcosa di alternativo che, superando il problema del bisogno economico, eviti di pervadere in maniera devastante anche gli altri ambiti della vita umana, superando di fatto l’effimera promessa di una felicità a pagamento.

Come ha egregiamente scritto Geminello Alvi nel suo libro “Il Secolo Americano - 1996”, il superamento del capitalismo non è un problema economico o giuridico, ma semplicemente solo spirituale. Esso: “ è opera di distinzione tra quanto deve essere inventato, prodotto e commercializzato così da soddisfare le necessità dell’economia sostanziale, e quanto invece è di più, ossia acquisto di felicità, promessa di agio, scorciatoia, seduzione spirituale”.

Superare il capitalismo significa superare l’idea e la bramosia del capitale che seduce tutti incondizionatamente. Solo in questo modo è possibile pensare a strade alternative e ad una sua trasmutazione come quella già proposta in passato da uomini come Silvio Gesell, Rudolf Steiner o Karl Polanyi . Nelle loro idee è possibile scoprire un denaro che non si accumula, dove l’economico è solo uno dei campi della vita umana e la terra, il lavoro e la moneta non possono e non devono essere considerati alla stessa stregua di semplici merci.

Anche questa un’utopia? Probabilmente si, ma resa tale solo dall’incapacità dell’uomo di provare a immaginarla concretamente e con l’ aggravante che non è più possibile aspettare altri trecento anni visto che è in ballo il salto della specie.

Milano 27 marzo 2011

Pubblicato su: http://www.galatina.it/

mercoledì 9 marzo 2011

IL VERO VOLTO DELL'EUROPA

Oggi assistiamo alla triste realtà di un’Europa voluta principalmente da una aristocrazia venale di banchieri che, attraverso un modello economico libero-mercatista e basato sul falso dogma della moneta come risorsa scarsa, sta distruggendo le nazioni e costringendo i popoli a omogeneizzarsi. Personalmente ritengo tutto ciò un’imposizione per nulla democratica (a parte qualche sporadico referendum dove peraltro si è votato contro) che calpesta sia l’indipendenza che ogni singola lingua e identità europea.


Il vero volto della tanto decantata e certamente poco discussa Europa, l’abbiamo visto qualche settimana fa quando, alla proposta di emettere “Eurobond”, ovvero di un debito pubblico comune ai paesi dell’Eurozona (passando così ad una vera moneta unica anziché all’insieme di parità fisse quale ancora oggi è), la Germania ha con determinazione risposto di no sapendo benissimo che questo avrebbe comportato una maggiore solidarietà nei confronti degli altri paesi membri più deboli che sono così, a causa del debito, inesorabilmente destinati al declino.

Nel frattempo la geopolitica internazionale sta cambiando radicalmente i suoi scenari: il secolo americano si sta ormai avviando alla conclusione esattamente come avvenne all’Inghilterra coloniale e la Cina già si prepara ad occupare la scena economica mondiale.

Un “rivoluzione” senza militari ma secondo logiche ben definite, dove i vari Club manovratori degli imperi e delle monete, sanno già di poter trovare nuova linfa vitale.

sabato 5 febbraio 2011

Debito, Moneta e Inflazione: Una soluzione a portata di mano

Con l’inizio del nuovo anno negli ambienti della politica sembra cominci a circolare la voce dell’introduzione di una tassa patrimoniale per ridurre l’ormai mostruoso debito pubblico italiano. Già in passato questa soluzione era stata adottata dal Governo Amato che con l’ennesima promessa di rimettere i conti in ordine, aveva spinto gli italiani a sacrificarsi nella prospettiva di un maggior benessere futuro. Sempre in questa ottica poi, rafforzata anche dall’emergenza, i cittadini si sono dovuti ancora spremere per salvare il sistema bancario da un disastro economico-finanziario dettato da una loro incauta e spavalda attività operativa.

Se pertanto siamo ancora qui a parlare di patrimoniale è evidente che lo strumento non solo non ha funzionato, ma come può facilmente notare un qualsiasi uomo della strada dotato di buon senso, rappresenta solo la solita minestra fino al prossimo sacrificio.

Oltretutto si dimentica spesso di dire che, a causa di un sistema economico ingessato, i sacrifici sono ormai la quotidianità e questo rende ancora più vere e drammatiche le parole di Keynes quando affermava che nel lungo periodo siamo tutti morti.

Il debito pubblico, come ho già avuto modo di scrivere, è in realtà inestinguibile a causa del suo stesso meccanismo che lo genera. Esso non consente al paese di liberare le sue energie migliori e lo tiene stretto in una morsa che giorno dopo giorno si fa sempre più asfissiante.

Uno Stato che operasse per un “bene comune” che garantisca, la vita, la libertà e il perseguimento della felicità per il suo popolo, attraverso l’esercizio della sua piena e legittima sovranità monetaria, non avrebbe bisogno di indebitarsi verso banche private. Esso potrebbe emettere, semplicemente stampando, tutta la moneta di cui ha bisogno. Fino a quando esistono lavoratori disoccupati e strutture di produzione inattive come in questo periodo, il nuovo denaro può aggiungersi alle scorte senza che i prezzi subiscano variazioni significative. L’inflazione si genera solo quando la domanda di maggior denaro aumenta più velocemente della fornitura di beni e servizi. Ecco perché, se il denaro è usato opportunamente per investimenti produttivi, l’inflazione non può generarsi.

Purtroppo fino ad oggi il denaro creato (o alleggerimento quantitativo come più comunemente viene definito) è servito solo per sanare i bilanci bancari senza entrare per questo nell’economia produttiva.

Quindi in una situazione fortemente deflativa come quella italiana, sommata all’enorme debito pubblico, è veramente difficile pensare di poter far risalire il PIL ad un livello dignitoso. Anche perché, nell’attuale vortice della globalizzazione dove tutti gli stati vogliono esportare, non si capisce chi sono gli importatori che consentiranno a quest’ultimo di crescere. Inoltre non è neanche possibile pensare che la domanda interna possa supplire alla mancanza di esportazioni, dato che è già logorata da un’elevata pressione fiscale, dai tagli alla spesa pubblica e da redditi sempre più bassi e precari. Una ulteriore spremitura può solo aggravare la deflazione e con essa lo stato d’animo degli italiani.

Allora ci dobbiamo solo rimettere alla bontà della BCE sperando che magari segua, prima o poi, il consiglio di Keynes che, in casi estremi, suggeriva di far scavare delle buche nel terreno per nascondere del denaro e fare in modo che successivamente, la gente potesse ritrovarlo per spenderlo.

Oppure, facendo riferimento alla battuta di un altro economista molto più in sintonia col modo di operare delle banche centrali, Milton Friedman, si potrebbe pensare di arrivare con gli elicotteri e buttare giù quanto più denaro possibile.

Sperando almeno che lo si faccia in una giornata poco ventosa, potrebbe forse rappresentare la vera soluzione alla crisi.

3 febbraio 2011

Pubblicato su: http://www.galatina.it/