mercoledì 29 febbraio 2012

MERCATO E POTERE

La triste sorte che sta travolgendo oggi il popolo greco, sembra quasi la stessa che all’inizio della sua civiltà ne determinò il fallimento. Scrive a tal proposito Lewis Mumford: “I traffici marittimi portarono ad Atene gran varietà di merci; e poiché i cittadini erano dediti alle arti della politica e della guerra, gran parte del commercio cadde nelle mani di mercanti d’oltremare, venuti dalla Francia, da Cartagine, o da altre terre lontane.[…] Le ricchezze produssero brama d’altre ricchezze.[…] Era arrivato il denaro a turbare l’antico equilibrio. […] Così Demostene lanciò l’ultimo grido d’angoscia sulla loro sconfitta. Subito dopo la Grecia divenne un possedimento coloniale: e dopo ancora un paradiso per turisti colti”. E dove i ricordi del suo grande passato, furono venduti come curiosità ai visitatori e agli antiquari romani (1).

Oggi la storia si sta ripetendo e il fallimento della Grecia trova tutta la sua tragedia nel mercato. In quel mercato che con le sue leggi credute “naturali” si dice rappresenti il male minore e il maggiore dei beni possibili nel mondo reale. Se si trattasse di un vero libero mercato e non di un qualsiasi mercato, forse questo potrebbe essere anche vero. Ciò implicherebbe che si verificassero però le seguenti condizioni:

- Assenza di asimmetrie informative ovvero una perfetta informazione e trasparenza su tutti i dati di tipo economico, finanziario e tecnologico;
- Redditività costante rispetto alle dimensioni aziendali
- Nessun costo contrattuale;
- Mercati completi;
- Perfetta competizione, compresa la immediata convertibilità delle produzioni;
- Legislazione e governo non influenzati dalle imprese;
- Priorità dell’obiettivo del profitto rispetto alla ricerca del potere (2).

Si tratta di condizioni solo teoriche che nella realtà non trovano mai un effettivo riscontro. Stesso ragionamento si potrebbe fare anche in merito all’esercizio della democrazia. Si capisce quindi come il mercato rappresenti, in realtà, un dogma falso e strumentale. Come sostiene Marco Della Luna però, la sua retorica è efficace in quanto produce illusione (opinio legalitas), consenso, obbedienza e ovviamente profitto. Oggi questa retorica si chiama neoliberismo e serve a produrre: indebitamento, finanziarizzazione, monopolizzazione, deregolamentazione, globalizzazione, deindustrializzazione, militarizzazione, precarizzazione, aziendalizzazione (3). A ciò poi va aggiunto lo stato fisco-poliziesco supportato dal sistema bancario e dagli organismi internazionali come FMI, WTO, UE, BCE.

Questo “mercato” ha bisogno di un apparato burocratico-tecnocratico e del monopolio monetario che lo sostenga. Scrive a riguardo Geminello Alvi: “[...] tutte le monete sono sempre per via del signoraggio o dell’inflazione, in decumulo. Ma le rapine estorte dallo stato dando alla sua banca centrale il monopolio delle sue emissioni e imponendone il corso legale hanno superato qualunque estorsione precedente. E le banche centrali hanno scambiato il potere loro concesso dallo stato sulle banche soccorrendolo con le loro emissioni esclusive. Si pensi solo a quanto lucrato per esempio dagli stati in tal modo negli anni settanta con l’inflazione e alla distruzione del debito conseguente.”
Oggi in questo “mercato” continua a legittimarsi quel potere che prima fu riposto in Dio e successivamente nelle democrazie.
Come ebbe a dire W. Goethe: “In verwandelter Gestalt üb’ich grimmige Gewalt” (5).



(1) LEWIS, MUMFORD, La condizione dell’uomo. Bompiani – Milano 1977
(2) NINO, GALLONI e MARCO, DELLA LUNA La moneta copernicana. Nexusuedizioni PD 2008
(3) Ibid.
(4) GEMINELLO, ALVI, Il Capitalismo. Verso l’ideale cinese. Marsilio Editori VE 2011
(5) “In forma mutata esercito crudele potere”