martedì 4 dicembre 2012

LE QUATTRO RICHIESTE ECONOMICHE DA FARE A GESU' BAMBINO

Siamo a ridosso di un nuovo Natale e di un altro anno che sta per andarsene per sempre. Come al solito le cose dell’economia vanno sempre peggio e, come al solito, a breve, si faranno discorsi ufficiali di fiducia e di speranza in un futuro che, evidentemente, non ha niente a che vedere con quello economico, in quanto quest’ultimo, purtroppo per noi, è già stato abbondantemente ipotecato. E’ ormai evidente come nell’ eurosistema, l’economia non è un affare che riguarda più la sovranità delle nazioni e pertanto i politici, “sgravati” da questa pesante incombenza, si potranno dedicare ad altri aspetti della vita dei loro concittadini che hanno, si fa per dire, valori “più alti”.

Peccato però che le cose non stiano proprio così. Ogni occupazione economica, per quanto possa sembrare di rango inferiore rispetto ai grandi valori della vita, rappresenta lo strumento principale mediante il quale ogni persona persegue i fini ultimi della sua esistenza. Ciò significa che il movente economico è sempre intermedio rispetto a ogni fine umano. Disporre di un reddito e quindi di denaro, significa in ultima analisi poter appagare il proprio personale spirito di libertà.

Purtroppo la tendenza storica ad avere stati sempre più pervasivi nelle questioni economiche ha creato i presupposti affinché tutte quelle categorie di lavoratori più o meno organizzate, si potessero ritagliare dei privilegi duraturi a scapito di tutti gli altri. In questa situazione perversa, quel che è peggio è che, così facendo, nel lungo periodo hanno minato anche le loro stesse posizioni. Infatti, quando si salvaguarda ogni sorta di interesse particolare, non si fa altro che limitare le opportunità e la libertà di tutti e di conseguenza, si pregiudica ogni ulteriore possibilità di sviluppo.

In altre parole, volendo tradurre il concetto in un esempio più concreto, si può dire che se si dispone di una torta e qualcuno al di sopra di tutti decide che della stessa, un pezzo considerevole debba andare sempre a dei soggetti ben individuati, non solo gli altri avranno meno risorse e quindi minore libertà di scelta, ma col tempo, la stessa torta rischia di diventare sempre più piccola fino a quando anche le fette “garantite” saranno a rischio.

Se gli stati, abusando della loro sovranità economica, hanno fallito, non è certo delegando quest’ultima ad una autorità sovranazionale irresponsabile come l’UE che potranno pensare di risolvere i loro problemi. Quel che servirebbe a mio giudizio, è solo un potere politico sovranazionale che freni, al massimo, le esuberanze economiche dei vari paesi. In altre parole, l’UE non può avere il potere di dirigere i diversi popoli sulle cose da fare, ma può solo trattenerli dall’agire procurando danni agli altri.

Una Unione Europea fondata su basi federali o meglio ancora confederali sul modello svizzero, avrebbe in questo servito meglio i suoi popoli. Invece, si è scelta una via che inevitabilmente porta al conflitto di interessi. Come scrisse a suo tempo l’austriaco Friedrich von Hayek: ”[…].Comporta poca difficoltà pianificare la vita economica di una famiglia, e difficoltà relativamente lievi si trovano nelle piccole comunità. Ma, quando la scala aumenta, la misura dell’accordo sull’ordine dei fini diminuisce e cresce la necessità di contare sulla forza e sulla coercizione. In una piccola comunità esisteranno in capo a un gran numero di soggetti comuni opinioni sull’importanza relativa dei principali compiti, modelli consensuali di valori. Ma il loro numero diventerà sempre meno ampio via via che allarghiamo il contesto; e, quando viene meno la comunità di opinioni, cresce la necessità di affidarsi alla forza della coercizione.”(1)

Su quali basi morali si pensa di pianificare in Europa la vita di tanti popoli diversi? Come si fa a dire al pescatore norvegese che deve rinunciare alle prospettive di miglioramento economico perché qualcuno ha stabilito a livello centrale che bisogna aiutare il suo compagno portoghese? Tale pretesa, oltre ad essere velleitaria è anche miope in quanto non vede il grosso limite di libertà al quale tende.

A questo punto, visto che i potenti evidentemente vivono su un’altra dimensione che non è quella dei semplici, l’unica speranza che rimane è quella di rivolgersi a Gesù Bambino e, nella solita lettera di Natale, chiedergli:

•una minore crescita che tralasci il superfluo ma garantisca le cose importanti;

•una maggior disponibilità di tutti gli uomini di buona volontà a considerare il dono come componente importante della vita;

•la consapevolezza che il privilegio non è per sempre;

•di farci riscoprire la bellezza del capitale come spirito creativo ponendo fine a monopoli di vario genere e a una finanza speculativa sempre più egoista e irresponsabile.

Sono solo poche cose ma, visto che per noi sono proprio complicate da ottenere, almeno ci aiuti lui che è divino.

Milano 04.12.2012

(1) Friedrich August von Hayek, La via della schiavitù. Rusconi Libri 1995 p.280-81


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domenica 5 agosto 2012

RUDOLF STEINER, L'ECONOMISTA ERETICO

Mentre la grave crisi economica provocata dal potere finanziario sta condizionando pesantemente la vita di milioni di persone, tutte le terapie volte a risolverla, sembrano di fatto, non avere nessuna utilità concreta. Questo perché, a ben guardare, la distribuzione piramidale della ricchezza basata prevalentemente su rendite e patrimoni creata dal sistema capitalistico, ha quasi definitivamente escluso dalle sue possibili soluzioni i redditi da lavoro che invece potrebbero essere i soli in grado di rimettere in movimento una macchina ormai inceppata da tempo.
Tuttavia anche se si riuscisse a ragionare in questi termini, ciò potrebbe non essere sufficiente perché, in definitiva, il pendolo del pensiero economico continua a oscillare fra due polarità che escludono qualsiasi altro tipo di approccio alternativo all'economia. Le polarità a cui mi riferisco sono le due macro visioni ovvero quella mercantilista e quella liberista.
Come è noto, chi ragiona con un approccio mercantilista, pone maggiore attenzione sulla domanda interna e sulla protezione dello stato, auspicando un surplus in conto merci e rivendicando politiche statali a sostegno dell'occupazione e in tutto questo si può tranquillamente ricomprendere anche la stessa teoria Keynesiana. Come è ormai evidente, le conseguenze di un approccio del genere, porta inesorabilmente alla burocratizzazione di ogni produzione.
Chi invece volge il suo pensare economico a idee di stampo liberista, fa dipendere la crescita dell'economia dal commercio e da un crescente investimento all'estero. Conseguenza di ciò è invece un relativizzarsi sempre più della produzione.
E' ovvio a questo punto che, ogni soluzione di politica economica, è intrisa in percentuale diversa, sia dell'una sia dell'altra visione dell'economia.
Eppure ci sono idee economiche che, pur avendo una loro dignità e coerenza, sono poco conosciute o addirittura quasi del tutto ignorate anche dal mondo universitario. Queste idee, meriterebbero, soprattutto in periodi di crisi come questo, almeno di essere analizzate e discusse da economisti e accademici "limpidi". Uno sforzo del genere avrebbe il pregio di stimolare la possibile apertura di nuove strade ad un sistema economico ormai perso in un vicolo cieco.
In particolare mi riferisco alle idee e alla visione che aveva dell'economia il filosofo austriaco Rudolf Steiner.
In realtà egli non ha mai scritto nessun libro di economia ma ha affidato la sua particolare visione del funzionamento del sistema economico a quattordici conferenze tenute intorno agli anni venti del secolo scorso.
Steiner nell'elaborare le sue originali idee economiche, parti principalmente dal pensiero dei classici trascurando del tutto i neoclassici e le loro teorie sul marginalismo di cui, con molta probabilità, ne ignorava gli scritti.
L'originalità del pensiero di Steiner sta prevalentemente in una modificata teoria del valore-lavoro così come elaborata dagli economisti classici. Come si ricorderà per questi ultimi, il lavoro era considerato una merce e quindi distinto dal suo processo produttivo. Per Steiner ciò non era possibile in quanto non era pensabile ridurre il lavoro dell'uomo a semplice energia misurabile. Nello specifico egli non solo escludeva il lavoro come fattore produttivo ma lo considerava solo unito a Terra e capitale, negando così ogni relazione tra attività lavorativa e prezzo del fattore produttivo stesso. In definitiva per Steiner Terra e capitale rappresentavano una forza produttiva solo se uniti e confusi con il lavoro.
Distinguendo fra Natura e Spirito, egli volle sottolineare come Terra e capitale (inteso come macchina) non producono nulla senza l'individualità e la creatività dell'uomo che, confondendosi a loro, crea valore. In questa ottica Steiner prese anche le distanze da Karl Marx facendo notare come nella sua teoria, non poteva esserci posto per una teoria del plus-valore o plus-lavoro in quanto sosteneva che non fosse possibile imputare al lavoro un valore inferiore a quanto esso produce. Per Steiner il lavoro era produttivo solo se si lascia modificare dalla cultura e dal carisma dell'imprenditore (che per Steiner era una forma d'arte) e dalla scienza che a sua volta modifica la Natura stessa. Con Steiner la distinzione che fanno i classici fra lavoro produttivo e improduttivo non aveva nessun senso e in questo modo, riuscì a dare dignità a cultura e arte che hanno invece, un ruolo importantissimo nel circuito di creazione del valore.
Nel suo particolare modello economico la ridistribuzione del valore dei prodotti in modo residuale dopo aver fissato le quote del salario secondo gli economisti classici, non era possibile e tantomeno erano possibili i vari meccanismi di imputazione dei prezzi secondo la visione dei neoclassici.
Da tutto ciò ne deriva che Steiner criticava il capitalismo non perché esso porta a iniquità o si avvale del mercato, ma piuttosto perché nel suo modo di funzionare, egli notava una cristallizzazione dell'atto spirituale. L'invenzione, la scienza, l'innovazione sono tutti atti spirituali che trasformano il lavoro in valore. Il capitale immobiliare e mobiliare, la proprietà terriera e le macchine invece non creano valori ma commercializzano solo valori fittizi. Per Steiner la finalità dell'economia doveva essere solo quella di soddisfare le necessità naturali dell'uomo escludendone l'accumulo fittizio dei valori. L'inflazione per lui aveva origine quindi solo da attività speculativa che non crea vero valore ma solo valore fittizio.
Pur non essendo un economista di professione, Steiner con le sue idee si avvicinò molto anche al pensiero di altri autorevoli accademici. Uno fra questi fu Joseph Schumpeter. Come Steiner, Shumpeter pensava che l'intelligenza e il carisma individuale mette in moto l'innovazione e pone fine ad uno stato stazionario generando così lo sviluppo.
Ma per afferrare anche solo concettualmente il circuito economico Steineriano è importante sapere quale ruolo ha per il filosofo tedesco il denaro. Come Shumpeter, anche Steiner era dell'idea che il denaro non può essere esogeno al sistema di creazione dei valori. Se il denaro è spirito (inteso come capacità, cultura) e quindi non merce, ciò significa che, quando al denaro anticipato attraverso il credito non corrisponde la creazione di valori, allora quel denaro va ad accumularsi come mezzo di scambio in un circuito che non è più quello economico. Ecco che così si vengono a creare quei valori fittizi che in definitiva generano solo rendite finanziarie. Per Steiner il problema più pressante da risolvere nel sistema capitalistico non era tanto la redistribuzione del reddito ma piuttosto individuare un circuito monetario e finanziario che non separasse la forza produttiva dal suo circuito economico.
Il meccanismo di funzionamento del denaro di Steiner esclude ogni monopolio d'emissione monetaria e quindi la stessa esistenza di una Banca centrale. Egli individuò tre forme di denaro: Invor, mercor, donor.
Con Invor volle indicare quel denaro "giovane" che serviva all'investimento; con il mercor quel denaro "maturo"di scambio o di circolazione e con il "donor" quel particolare denaro "vecchio" di dono come forma solidaristica di decumulo che andrebbe a finanziare quei campi spirituali della vita come sanità, istruzione, arte, cultura che, pur non rientrando nel campo dell'economia, sono tuttavia importantissimi affinché essa possa essere in grado di svilupparsi.
In questo suo particolare e certamente coerente modo di pensare l'economia Steiner prese spunto da un altro economista "eretico": Silvius Gesell. Quest'ultimo riteneva che per evitare che il denaro si potesse accumulare bastasse applicare un bollo ogni mese pari ad una percentuale del suo valore. L'introito che ne sarebbe derivato per lo stato da questo circuito virtuoso, come calcolò lo stesso Keynes, doveva servire a nuovi investimenti pubblici compatibilmente con un sistema di pieno impiego.
Al contrario di Gesell però, per Steiner il denaro non doveva avere solo la funzione di circolazione ma doveva essere principalmente un denaro di investimento che, attraverso il credito bancario, anticipasse del tutto i valori agli imprenditori senza per questo che ci fosse nessuna relazione con la base monetaria esistente. Man mano che i valori anticipati dal credito fossero venuti ad esistere, si creerebbero attività per la copertura del denaro di circolazione, il mercor. Quest'ultimo che non è creato dal nulla come l'anticipazione, verrebbe poi trasferito dalle aziende ai privati (dove per privati si intende tutte le istituzioni diverse da stato, imprese e banche centrali e quindi salariati e risparmiatori). Successivamente parte di esso diventando donor, sarebbe diminuito come per i bolli di Gesell, di una certa percentuale e veicolato a discrezione da privati e imprese a ospedali, scuole ecc..
L'originalità di questo modello sta nel fatto che in questo modo non sarebbe più lo Stato a redistribuire la ricchezza agli altri campi spirituali della vita e pertanto non ci sarebbe più bisogno di un debito pubblico e banche centrali che operino sulla massa monetaria per gestirlo. Si tratta in sostanza di un sistema che avrebbe come conseguenza inevitabile una riforma dei mercati dei capitali.
Una visione del sistema economico libertaria dove esistono associazioni di consumatori e produttori, ed esiste una importante attenzione all'intrapresa e all'innovazione e a un free banking.
Un approfondimento sulle idee economiche di Rudolf Steiner è possibile trovarlo sul libro di Geminello Alvi "L'anima e l'economia" dal quale io stesso ho tratto spunto.
In conclusione ritengo che ignorando Steiner e altri pensatori "eretici" come lui, il mondo accademico che dovrebbe essere per eccellenza il depositario della cultura economica, può rimproverarsi di aver contribuito a creare un sistema perverso e certamente vantaggioso per tutti coloro che, accumulando capitale fittizio, oggi spiegano che non vi è altra alternativa alla mancanza di lavoro e ai sacrifici della povera gente.

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mercoledì 29 febbraio 2012

MERCATO E POTERE

La triste sorte che sta travolgendo oggi il popolo greco, sembra quasi la stessa che all’inizio della sua civiltà ne determinò il fallimento. Scrive a tal proposito Lewis Mumford: “I traffici marittimi portarono ad Atene gran varietà di merci; e poiché i cittadini erano dediti alle arti della politica e della guerra, gran parte del commercio cadde nelle mani di mercanti d’oltremare, venuti dalla Francia, da Cartagine, o da altre terre lontane.[…] Le ricchezze produssero brama d’altre ricchezze.[…] Era arrivato il denaro a turbare l’antico equilibrio. […] Così Demostene lanciò l’ultimo grido d’angoscia sulla loro sconfitta. Subito dopo la Grecia divenne un possedimento coloniale: e dopo ancora un paradiso per turisti colti”. E dove i ricordi del suo grande passato, furono venduti come curiosità ai visitatori e agli antiquari romani (1).

Oggi la storia si sta ripetendo e il fallimento della Grecia trova tutta la sua tragedia nel mercato. In quel mercato che con le sue leggi credute “naturali” si dice rappresenti il male minore e il maggiore dei beni possibili nel mondo reale. Se si trattasse di un vero libero mercato e non di un qualsiasi mercato, forse questo potrebbe essere anche vero. Ciò implicherebbe che si verificassero però le seguenti condizioni:

- Assenza di asimmetrie informative ovvero una perfetta informazione e trasparenza su tutti i dati di tipo economico, finanziario e tecnologico;
- Redditività costante rispetto alle dimensioni aziendali
- Nessun costo contrattuale;
- Mercati completi;
- Perfetta competizione, compresa la immediata convertibilità delle produzioni;
- Legislazione e governo non influenzati dalle imprese;
- Priorità dell’obiettivo del profitto rispetto alla ricerca del potere (2).

Si tratta di condizioni solo teoriche che nella realtà non trovano mai un effettivo riscontro. Stesso ragionamento si potrebbe fare anche in merito all’esercizio della democrazia. Si capisce quindi come il mercato rappresenti, in realtà, un dogma falso e strumentale. Come sostiene Marco Della Luna però, la sua retorica è efficace in quanto produce illusione (opinio legalitas), consenso, obbedienza e ovviamente profitto. Oggi questa retorica si chiama neoliberismo e serve a produrre: indebitamento, finanziarizzazione, monopolizzazione, deregolamentazione, globalizzazione, deindustrializzazione, militarizzazione, precarizzazione, aziendalizzazione (3). A ciò poi va aggiunto lo stato fisco-poliziesco supportato dal sistema bancario e dagli organismi internazionali come FMI, WTO, UE, BCE.

Questo “mercato” ha bisogno di un apparato burocratico-tecnocratico e del monopolio monetario che lo sostenga. Scrive a riguardo Geminello Alvi: “[...] tutte le monete sono sempre per via del signoraggio o dell’inflazione, in decumulo. Ma le rapine estorte dallo stato dando alla sua banca centrale il monopolio delle sue emissioni e imponendone il corso legale hanno superato qualunque estorsione precedente. E le banche centrali hanno scambiato il potere loro concesso dallo stato sulle banche soccorrendolo con le loro emissioni esclusive. Si pensi solo a quanto lucrato per esempio dagli stati in tal modo negli anni settanta con l’inflazione e alla distruzione del debito conseguente.”
Oggi in questo “mercato” continua a legittimarsi quel potere che prima fu riposto in Dio e successivamente nelle democrazie.
Come ebbe a dire W. Goethe: “In verwandelter Gestalt üb’ich grimmige Gewalt” (5).



(1) LEWIS, MUMFORD, La condizione dell’uomo. Bompiani – Milano 1977
(2) NINO, GALLONI e MARCO, DELLA LUNA La moneta copernicana. Nexusuedizioni PD 2008
(3) Ibid.
(4) GEMINELLO, ALVI, Il Capitalismo. Verso l’ideale cinese. Marsilio Editori VE 2011
(5) “In forma mutata esercito crudele potere”