Sicuramente a molti sarà capitato di guardare fra gli scaffali di una libreria commerciale e leggere fra i vari libri presenti titoli del tipo : Manuale di economia. Ciò sembrerebbe del tutto normale e ovvio se non fosse per il fatto che questi testi alcuni anni fa, alla parola economia, facevano seguire anche quella di “politica”.
In realtà questa “amputazione” trova la sua ragione nel tentativo (riuscito) che è stato fatto col tempo di far assurgere la materia a scienza esatta basata sempre più su leggi matematiche e allontanandola sempre più dalla sua vera natura di scienza sociale. In verità a difesa di un approccio squisitamente matematico si è schierata nel tempo una scuola di pensiero che fa capo all’economista Milton Friedman (c.d positivismo metodologico).
Al di là delle discussioni che si possono intraprendere sull’argomento, la cosa interessante da notare è che quelle sofisticate leggi numeriche così tanto santificate un tempo da economisti e politici di ogni genere per la loro presunta capacità di portare ricchezza e benessere a tutti, oggi sono seriamente oggetto di critiche aspre che le riportano correttamente a parer mio, nel quadro più consono delle scienze sociali.
Come spiega bene Luca De Biase nella sua opera Economia della Felicità, lo stesso Adam Smith (1723-1790) da tutti considerato il fondatore dell'economia politica, per il successo ottenuto dal suo saggio del 1776 Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, in un suo scritto antecedente alla sua maggiore opera, dal titolo Teoria dei sentimenti morali (1759), dimostra che fin dalla nascita la ricerca economica non è stata indifferente ai rapporti tra la sua sfera di ricerca specifica e i risultati degli studi dell'etica, della sociologia, dell'antropologia e della psicologia.
A questo punto verrebbe da chiedersi come mai la disciplina si sia sviluppata seguendo un percorso che per un lungo periodo l'ha portata a separarsi completamente da ogni altra scienza sociale. La ragione con tutta probabilità sta nel fatto, come dice De Biase, che un coacervo di interessi ha trovato conveniente sostenere l'esistenza di una sfera d'azione autonoma per gli operatori economici, in totale indipendenza dalla cultura della politica e dell'etica. Questo approccio creativo e innovativo è stato per un certo tempo piuttosto rilevante fino a che si è trattato di combattere i privilegi acquisiti in base alla tradizione feudale e aristocratica. Col tempo però questo modello ideale è andato completamente fuori controllo generando risultati culturalmente disastrosi. La forte critica che avanza, riguarda prevalentemente il concetto liberale di mercato e alcuni postulati che sono alla base del suo funzionamento.
Un primo postulato discusso è quello della razionalità delle scelte del consumatore secondo cui, quest’ultimo dovrebbe agire solo e soltanto in virtù di un meccanismo riconoscibile e collaudato. In realtà recenti e innovative metodologie di ricerca, (1) hanno messo in evidenza come questa capacità non si sia mai verificata a causa di molti altri fattori che influiscono sul comportamento individuale (la stessa pubblicità è uno di essi). Un altro postulato ancora più critico è quello relativo alla perfetta informazione che caratterizza la definizione dei mercati concorrenziali. Infatti secondo quanto comunemente accettato, questi hanno la capacità di garantire a tutti gli operatori le stesse informazioni che consentono di operare in maniera efficiente e perseguire la migliore allocazione delle risorse e, nel suo insieme, l’equilibrio.
Anche in questo caso è stato ampiamente provato come il postulato nella realtà non si sia mai verificato a causa delle c.d. asimmetrie informative (2) evidenziate dagli studi del premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz secondo le quali, esistono piuttosto diversi gruppi di potere che traggono continuamente vantaggi e profitti sfruttando le maggiori informazioni derivanti da una loro posizione di privilegio. Paradossalmente da qui consegue che, diversamente da quanto comunemente si pensi, i mercati concorrenziali invece di dover essere deregolamentati per funzionare al meglio, necessitano al contrario di una importante regolamentazione che consenta a tutti gli operatori parità di informazioni. Questo è tanto più vero se si riflette su quanto è accaduto nella storia recente nei mercati finanziari.
Pertanto da quando l’economia si è allontanata dalle scienze sociali, sembra (ma ormai è più che una sensazione) che ci si sia dimenticati come la sua stessa architettura sistemica sia stata pensata per servire l’uomo nel suo cammino di sviluppo e benessere e non certo per subordinarlo a leggi matematiche basate su assunti assolutamente irreali che lo hanno trasformano in una semplice risorsa di sistema. I tempi sembrerebbero quindi maturi per un ritorno all’ economia politica, magari ripensata in profondità a partire dalle sue fondamenta.
27 ottobre 2009
Alberto Cacciatore,
Pubblicato su www.galatina2000.com
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Bibliografia:
1.Luca De Biase – Economia della Felicità – Feltrinelli 2007 Milano;
2.Joseph E. Stiglitz – La globalizzazione e i suoi oppositori – Einaudi 2002 Torino;