Per molte generazioni e fino ad alcuni anni fa, si sentiva spesso parlare del “sogno americano”; un mito che ha caratterizzato la vita di tanti cittadini d’America (leggi USA) e un modello di vita al quale molti altri cittadini di diversi paesi del mondo si sono appassionatamente ispirati.
Grazie a questa utopia che ha fatto coincidere la libertà dell’individuo con l’accumulo proprietario di beni, gli americani hanno spinto per anni sull’acceleratore dello sviluppo economico sacrificando, sull’altare del “benessere materiale”, tutto ciò che era contrario al libero mercato, all’arricchimento individuale e agli interessi privati (1).
In questa idilliaca visione del mondo, ogni attività o iniziativa statale rivolta al sociale, è stata sistematicamente percepita dalla maggior parte dei cittadini come un’ingerenza inopportuna e limitante di quel sogno.
Oggi però sta accadendo una cosa nuova, quella cieca fiducia nella crescita economica illimitata, sembra stia definitivamente tramontando. Ormai anche gli americani, nonostante continuino a lavorare incessantemente e ad avere sempre meno tempo per una vita che non consideri solo il lavoro, si stanno rendendo conto che i loro salari non crescono più e che il futuro non sarà più così roseo come una volta.
E’ di questi giorni l’approvazione di una legge sulla sanità fortemente voluta dal presidente Obama che allarga le cure mediche a molti cittadini non coperti da assicurazione. Qualche anno fa questa sarebbe stata una pura follia ma invece oggi sembra avere il sapore di una giusta solidarietà umana non certo spacciabile dai suoi detrattori come una politica di stampo comunista.
Ma, il presidente americano sembra stia osando qualcosa di più importante e sconvolgente non riuscita neanche a molti altri suoi autorevoli predecessori riformisti (Jefferson, Jackson, Lincoln, Kennedy). Sembra stia puntando il dito sul mondo dell’alta finanza esortandolo a darsi delle nuove regole che possano scongiurare altre devastanti crisi nel tentativo di rinvigorire quel sogno americano. Ma quali regole potranno mai essere adottate se la base del sistema è fondata sul debito infinito? La sua inevitabile e perpetua crescita esponenziale poggia su una base logico-matematica che non può essere assolutamente corretta con nessuna buona gestione dell’economia pubblica e privata2. Questo pur essendo un argomento certamente noto ai politici più navigati, purtroppo non è mai neanche sfiorato nei loro dibattiti.
Per questo, probabilmente, per fronteggiare la crisi, si farà come al solito ricorso ad “un’elegante fuga dalla realtà” come l’aveva definita a 90 anni Galbraith nel suo libro “L’Economia della truffa - 2004”, utilizzando quelle che spesso vengono considerate tra le più giuste ed apprezzate iniziative economiche della Federal Reserve (iniziative peraltro intraprese da tutte le banche centrali dei paesi con le stesse caratteristiche dell’economia americana) che, in periodi di recessione sarà propensa ad abbassare il prezzo del denaro (tasso d’interesse) invitando il resto del sistema bancario a fare altrettanto, con la speranza che gli imprenditori siano invogliati a comprarlo (e quindi ad indebitarsi) ed a investirlo nelle loro attività e le famiglie, a indebitarsi con nuovi mutui. Poi quando l’economia sarà cresciuta (stiamo sempre ragionando nel campo delle idee meccanicistiche dell’economia), per scongiurare l’inflazione si tornerà a tassi d’interesse più alti per fermare l’ondata espansiva.
In tutta questa attività dalla parvenza quanto mai logica ed oculata, entra anche il bilancio dello Stato che per finanziare altra spesa pubblica o metterà in vendita parte del suo patrimonio oppure dovrà necessariamente chiedere i soldi in prestito al sistema della Riserva Federale (che ricordiamolo, appartiene ad una élite di circa 20 banche private) che, per averli indietro, con gli interessi, costringerà di fatto lo Stato a imporre nuove tasse e imposte ai suoi contribuenti, in un circolo vizioso di sottrazione costante di potere d’acquisto.
E in questa situazione surreale dove nel frattempo il debito cresce insieme alla povertà di buona parte dei cittadini, succederà poi che gli imprenditori, per eludere le maggiori imposte, tenderanno ad aumentare i prezzi dei loro prodotti/servizi, generando un’inflazione che, paradossalmente, non dipende da una maggiore domanda in quanto, i consumi, non possono essere sostenuti a causa della scarsità del denaro in circolazione (la cd. stagflazione).
Pur nella sua massima semplificazione, se questo è il sistema di base dal quale Obama vorrà partire per fare le tanto decantate riforme della finanza, sarà difficile pensare che esse non siano l’ennesimo palliativo fino al prossimo disastro. Forse a questo punto sarebbe il caso di pensare seriamente ad un’altra Bretton Woods che, andando a disciplinare il sistema monetario internazionale affrontasse seriamente il problema del debito, unico e solo grande colpevole di ogni “sventura aggregata”. In questo la politica gioca un ruolo assolutamente prioritario.
Ma ad onor del vero, bisogna anche dire che alcuni dei presidenti del passato sopra citati ci avevano già provato a sfidare apertamente questo grande potere, peccato però che la vita li abbia lasciati prematuramente.
Milano 28 aprile 2010
Alberto Cacciatore
Pubblicato su www.galatina.it
Bibliografia
1 Jeremy Rifkin, “Il sogno europeo”- Arnoldo Mondatori Editore S.p.A. Milano 2004
2 Marco della Luna & Antonio Miclavez, “Euroschiavi” 3a Ediz. Arianna Editrice Casalecchio (BO) 2007