martedì 27 dicembre 2011

L' ITALIA E QUEI LAVORI DI CANTIERISTICA MAI FATTI

Proprio un anno fa, avevo scritto un articolo nel quale segnalavo quali erano, secondo me, le ammaccature della nave Italia sulle quali bisognava intervenire per consentire alla stessa di navigare più serenamente in futuro. A quella sintesi ero giunto dopo tante letture e riflessioni che mi avevano aperto le porte ad una rinnovata e più solida consapevolezza del funzionamento dell'economia e per essa della stessa società.

Ovviamente l'articolo non aveva nessuna pretesa, se non quella di stimolare forse qualche buon lettore ad approfondire e magari anche a sviluppare un possibile confronto costruttivo.

Ma indipendentemente da ciò, da cittadino di questo paese, mi aspettavo che la politica, quella più colta perlomeno, vista la deriva alla quale ci si stava abbandonando, in uno scatto di coraggioso orgoglio, avesse potuto affrontare per tempo qualcuna di quelle "ammaccature" che anch'io, nel mio piccolo, avevo individuato.Purtroppo sappiamo tutti come è andata a finire ed oggi più che mai, per noi cittadini, si prospetta una dura recessione.

Ribadisco il concetto, ci sarà una recessione dovuta al fatto che la pressione del debito non consente nessuna verosimile crescita del PIL. Oltretutto la manovra che i "tecnici" hanno approntato, servirà semplicemente ad abbattere ulteriormente i consumi allargando così il problema occupazionale.

Paradossalmente ci sarà anche una crescita dell'inflazione che, si badi bene, non deriva da un eccesso di moneta, ma al contrario proprio dalla scarsità artificiale della stessa nel sistema. Infatti la "rarefazione monetaria", abbinata ad una più elevata pressione fiscale, inevitabilmente porta a tensioni al rialzo sui prezzi. Ma se i prezzi aumentano e i consumi in proporzione diminuiscono si avrà quella situazione nota agli economisti come stagflazione ovvero la presenza simultanea di inflazione e disoccupazione.

Prima di chiudere questo mio ultimo articolo del 2011, vorrei però fare ancora alcune brevi riflessioni sul concetto di PIL e di Globalizzazione.

Adottando il criterio guida del PIL nella nostra società, abbiamo rinunciato alla politica a tutto vantaggio di un governo della finanza. Se il PIL infatti riflette il volume d'affari delle imprese, è chiaro che ogni scelta sarà indirizzata verso qualsiasi cosa che rappresenta consumo anche se inutile. Infatti se questo è il criterio al quale ci siamo conformati, non dovrebbe sembrarci strano che degli ortaggi che si producono (per quanto ancora?) anche in Italia, vengano trasportati in aereo da ogni parte del mondo per essere consumati sulle nostre tavole. Se poi quei trasporti aerei inquinano e consumano risorse inutilmente, poco importa purché il PIL goda di buona salute.

Una volta le imprese nascevano per soddisfare veri bisogni, ora vengono concepite solo per crearli artificialmente all'infinito senza per questo mai appagarli in una logica perversa dove si incentivano le dipendenze e si disincentivano le autosufficienze.

Eppure per chi conosce la teoria dei vantaggi comparati dell'economista David Ricardo, sa che quanto appena detto rappresenta un aspetto positivo del commercio globale, infatti secondo tale teoria, tutto ciò è perfettamente razionale in quanto consente di realizzare la massima efficienza produttiva ed una più equa redistribuzione della ricchezza e del benessere.

Peccato però che anche questa teoria, come quella della concorrenza perfetta, nella pratica sia disattesa a causa dei molti presupposti falsi su cui si fonda.

Volendo fare un esempio concreto di sperequazioni e iniquità derivanti dai vantaggi comparati, si può far riferimento agli accordi che in passato furono presi fra il Regno Unito e il Portogallo. Mentre il Regno Unito si dotava di fabbriche e macchine per la tessitura, il Portogallo, povero e arretrato, si specializzava nella produzione della lana da fornire ai produttori tessili dell'isola. Il risultato fu che il Portogallo rimase anche per questo motivo un paese povero e dipendente, mentre il Regno Unito divenne una potenza industriale in grado di imporre i suoi prezzi anche ai suoi stessi fornitori (1). Se vantaggi comparati quindi ci furono, è evidente che questi andarono tutti al Regno Unito.

(1) Nino Galloni, Marco Della Luna, La moneta copernicana, Nexus Edizioni,  Due Carrare (PD) 2008
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Pubblicato su http://www.galatina.it/

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