martedì 4 dicembre 2012

LE QUATTRO RICHIESTE ECONOMICHE DA FARE A GESU' BAMBINO

Siamo a ridosso di un nuovo Natale e di un altro anno che sta per andarsene per sempre. Come al solito le cose dell’economia vanno sempre peggio e, come al solito, a breve, si faranno discorsi ufficiali di fiducia e di speranza in un futuro che, evidentemente, non ha niente a che vedere con quello economico, in quanto quest’ultimo, purtroppo per noi, è già stato abbondantemente ipotecato. E’ ormai evidente come nell’ eurosistema, l’economia non è un affare che riguarda più la sovranità delle nazioni e pertanto i politici, “sgravati” da questa pesante incombenza, si potranno dedicare ad altri aspetti della vita dei loro concittadini che hanno, si fa per dire, valori “più alti”.

Peccato però che le cose non stiano proprio così. Ogni occupazione economica, per quanto possa sembrare di rango inferiore rispetto ai grandi valori della vita, rappresenta lo strumento principale mediante il quale ogni persona persegue i fini ultimi della sua esistenza. Ciò significa che il movente economico è sempre intermedio rispetto a ogni fine umano. Disporre di un reddito e quindi di denaro, significa in ultima analisi poter appagare il proprio personale spirito di libertà.

Purtroppo la tendenza storica ad avere stati sempre più pervasivi nelle questioni economiche ha creato i presupposti affinché tutte quelle categorie di lavoratori più o meno organizzate, si potessero ritagliare dei privilegi duraturi a scapito di tutti gli altri. In questa situazione perversa, quel che è peggio è che, così facendo, nel lungo periodo hanno minato anche le loro stesse posizioni. Infatti, quando si salvaguarda ogni sorta di interesse particolare, non si fa altro che limitare le opportunità e la libertà di tutti e di conseguenza, si pregiudica ogni ulteriore possibilità di sviluppo.

In altre parole, volendo tradurre il concetto in un esempio più concreto, si può dire che se si dispone di una torta e qualcuno al di sopra di tutti decide che della stessa, un pezzo considerevole debba andare sempre a dei soggetti ben individuati, non solo gli altri avranno meno risorse e quindi minore libertà di scelta, ma col tempo, la stessa torta rischia di diventare sempre più piccola fino a quando anche le fette “garantite” saranno a rischio.

Se gli stati, abusando della loro sovranità economica, hanno fallito, non è certo delegando quest’ultima ad una autorità sovranazionale irresponsabile come l’UE che potranno pensare di risolvere i loro problemi. Quel che servirebbe a mio giudizio, è solo un potere politico sovranazionale che freni, al massimo, le esuberanze economiche dei vari paesi. In altre parole, l’UE non può avere il potere di dirigere i diversi popoli sulle cose da fare, ma può solo trattenerli dall’agire procurando danni agli altri.

Una Unione Europea fondata su basi federali o meglio ancora confederali sul modello svizzero, avrebbe in questo servito meglio i suoi popoli. Invece, si è scelta una via che inevitabilmente porta al conflitto di interessi. Come scrisse a suo tempo l’austriaco Friedrich von Hayek: ”[…].Comporta poca difficoltà pianificare la vita economica di una famiglia, e difficoltà relativamente lievi si trovano nelle piccole comunità. Ma, quando la scala aumenta, la misura dell’accordo sull’ordine dei fini diminuisce e cresce la necessità di contare sulla forza e sulla coercizione. In una piccola comunità esisteranno in capo a un gran numero di soggetti comuni opinioni sull’importanza relativa dei principali compiti, modelli consensuali di valori. Ma il loro numero diventerà sempre meno ampio via via che allarghiamo il contesto; e, quando viene meno la comunità di opinioni, cresce la necessità di affidarsi alla forza della coercizione.”(1)

Su quali basi morali si pensa di pianificare in Europa la vita di tanti popoli diversi? Come si fa a dire al pescatore norvegese che deve rinunciare alle prospettive di miglioramento economico perché qualcuno ha stabilito a livello centrale che bisogna aiutare il suo compagno portoghese? Tale pretesa, oltre ad essere velleitaria è anche miope in quanto non vede il grosso limite di libertà al quale tende.

A questo punto, visto che i potenti evidentemente vivono su un’altra dimensione che non è quella dei semplici, l’unica speranza che rimane è quella di rivolgersi a Gesù Bambino e, nella solita lettera di Natale, chiedergli:

•una minore crescita che tralasci il superfluo ma garantisca le cose importanti;

•una maggior disponibilità di tutti gli uomini di buona volontà a considerare il dono come componente importante della vita;

•la consapevolezza che il privilegio non è per sempre;

•di farci riscoprire la bellezza del capitale come spirito creativo ponendo fine a monopoli di vario genere e a una finanza speculativa sempre più egoista e irresponsabile.

Sono solo poche cose ma, visto che per noi sono proprio complicate da ottenere, almeno ci aiuti lui che è divino.

Milano 04.12.2012

(1) Friedrich August von Hayek, La via della schiavitù. Rusconi Libri 1995 p.280-81


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domenica 5 agosto 2012

RUDOLF STEINER, L'ECONOMISTA ERETICO

Mentre la grave crisi economica provocata dal potere finanziario sta condizionando pesantemente la vita di milioni di persone, tutte le terapie volte a risolverla, sembrano di fatto, non avere nessuna utilità concreta. Questo perché, a ben guardare, la distribuzione piramidale della ricchezza basata prevalentemente su rendite e patrimoni creata dal sistema capitalistico, ha quasi definitivamente escluso dalle sue possibili soluzioni i redditi da lavoro che invece potrebbero essere i soli in grado di rimettere in movimento una macchina ormai inceppata da tempo.
Tuttavia anche se si riuscisse a ragionare in questi termini, ciò potrebbe non essere sufficiente perché, in definitiva, il pendolo del pensiero economico continua a oscillare fra due polarità che escludono qualsiasi altro tipo di approccio alternativo all'economia. Le polarità a cui mi riferisco sono le due macro visioni ovvero quella mercantilista e quella liberista.
Come è noto, chi ragiona con un approccio mercantilista, pone maggiore attenzione sulla domanda interna e sulla protezione dello stato, auspicando un surplus in conto merci e rivendicando politiche statali a sostegno dell'occupazione e in tutto questo si può tranquillamente ricomprendere anche la stessa teoria Keynesiana. Come è ormai evidente, le conseguenze di un approccio del genere, porta inesorabilmente alla burocratizzazione di ogni produzione.
Chi invece volge il suo pensare economico a idee di stampo liberista, fa dipendere la crescita dell'economia dal commercio e da un crescente investimento all'estero. Conseguenza di ciò è invece un relativizzarsi sempre più della produzione.
E' ovvio a questo punto che, ogni soluzione di politica economica, è intrisa in percentuale diversa, sia dell'una sia dell'altra visione dell'economia.
Eppure ci sono idee economiche che, pur avendo una loro dignità e coerenza, sono poco conosciute o addirittura quasi del tutto ignorate anche dal mondo universitario. Queste idee, meriterebbero, soprattutto in periodi di crisi come questo, almeno di essere analizzate e discusse da economisti e accademici "limpidi". Uno sforzo del genere avrebbe il pregio di stimolare la possibile apertura di nuove strade ad un sistema economico ormai perso in un vicolo cieco.
In particolare mi riferisco alle idee e alla visione che aveva dell'economia il filosofo austriaco Rudolf Steiner.
In realtà egli non ha mai scritto nessun libro di economia ma ha affidato la sua particolare visione del funzionamento del sistema economico a quattordici conferenze tenute intorno agli anni venti del secolo scorso.
Steiner nell'elaborare le sue originali idee economiche, parti principalmente dal pensiero dei classici trascurando del tutto i neoclassici e le loro teorie sul marginalismo di cui, con molta probabilità, ne ignorava gli scritti.
L'originalità del pensiero di Steiner sta prevalentemente in una modificata teoria del valore-lavoro così come elaborata dagli economisti classici. Come si ricorderà per questi ultimi, il lavoro era considerato una merce e quindi distinto dal suo processo produttivo. Per Steiner ciò non era possibile in quanto non era pensabile ridurre il lavoro dell'uomo a semplice energia misurabile. Nello specifico egli non solo escludeva il lavoro come fattore produttivo ma lo considerava solo unito a Terra e capitale, negando così ogni relazione tra attività lavorativa e prezzo del fattore produttivo stesso. In definitiva per Steiner Terra e capitale rappresentavano una forza produttiva solo se uniti e confusi con il lavoro.
Distinguendo fra Natura e Spirito, egli volle sottolineare come Terra e capitale (inteso come macchina) non producono nulla senza l'individualità e la creatività dell'uomo che, confondendosi a loro, crea valore. In questa ottica Steiner prese anche le distanze da Karl Marx facendo notare come nella sua teoria, non poteva esserci posto per una teoria del plus-valore o plus-lavoro in quanto sosteneva che non fosse possibile imputare al lavoro un valore inferiore a quanto esso produce. Per Steiner il lavoro era produttivo solo se si lascia modificare dalla cultura e dal carisma dell'imprenditore (che per Steiner era una forma d'arte) e dalla scienza che a sua volta modifica la Natura stessa. Con Steiner la distinzione che fanno i classici fra lavoro produttivo e improduttivo non aveva nessun senso e in questo modo, riuscì a dare dignità a cultura e arte che hanno invece, un ruolo importantissimo nel circuito di creazione del valore.
Nel suo particolare modello economico la ridistribuzione del valore dei prodotti in modo residuale dopo aver fissato le quote del salario secondo gli economisti classici, non era possibile e tantomeno erano possibili i vari meccanismi di imputazione dei prezzi secondo la visione dei neoclassici.
Da tutto ciò ne deriva che Steiner criticava il capitalismo non perché esso porta a iniquità o si avvale del mercato, ma piuttosto perché nel suo modo di funzionare, egli notava una cristallizzazione dell'atto spirituale. L'invenzione, la scienza, l'innovazione sono tutti atti spirituali che trasformano il lavoro in valore. Il capitale immobiliare e mobiliare, la proprietà terriera e le macchine invece non creano valori ma commercializzano solo valori fittizi. Per Steiner la finalità dell'economia doveva essere solo quella di soddisfare le necessità naturali dell'uomo escludendone l'accumulo fittizio dei valori. L'inflazione per lui aveva origine quindi solo da attività speculativa che non crea vero valore ma solo valore fittizio.
Pur non essendo un economista di professione, Steiner con le sue idee si avvicinò molto anche al pensiero di altri autorevoli accademici. Uno fra questi fu Joseph Schumpeter. Come Steiner, Shumpeter pensava che l'intelligenza e il carisma individuale mette in moto l'innovazione e pone fine ad uno stato stazionario generando così lo sviluppo.
Ma per afferrare anche solo concettualmente il circuito economico Steineriano è importante sapere quale ruolo ha per il filosofo tedesco il denaro. Come Shumpeter, anche Steiner era dell'idea che il denaro non può essere esogeno al sistema di creazione dei valori. Se il denaro è spirito (inteso come capacità, cultura) e quindi non merce, ciò significa che, quando al denaro anticipato attraverso il credito non corrisponde la creazione di valori, allora quel denaro va ad accumularsi come mezzo di scambio in un circuito che non è più quello economico. Ecco che così si vengono a creare quei valori fittizi che in definitiva generano solo rendite finanziarie. Per Steiner il problema più pressante da risolvere nel sistema capitalistico non era tanto la redistribuzione del reddito ma piuttosto individuare un circuito monetario e finanziario che non separasse la forza produttiva dal suo circuito economico.
Il meccanismo di funzionamento del denaro di Steiner esclude ogni monopolio d'emissione monetaria e quindi la stessa esistenza di una Banca centrale. Egli individuò tre forme di denaro: Invor, mercor, donor.
Con Invor volle indicare quel denaro "giovane" che serviva all'investimento; con il mercor quel denaro "maturo"di scambio o di circolazione e con il "donor" quel particolare denaro "vecchio" di dono come forma solidaristica di decumulo che andrebbe a finanziare quei campi spirituali della vita come sanità, istruzione, arte, cultura che, pur non rientrando nel campo dell'economia, sono tuttavia importantissimi affinché essa possa essere in grado di svilupparsi.
In questo suo particolare e certamente coerente modo di pensare l'economia Steiner prese spunto da un altro economista "eretico": Silvius Gesell. Quest'ultimo riteneva che per evitare che il denaro si potesse accumulare bastasse applicare un bollo ogni mese pari ad una percentuale del suo valore. L'introito che ne sarebbe derivato per lo stato da questo circuito virtuoso, come calcolò lo stesso Keynes, doveva servire a nuovi investimenti pubblici compatibilmente con un sistema di pieno impiego.
Al contrario di Gesell però, per Steiner il denaro non doveva avere solo la funzione di circolazione ma doveva essere principalmente un denaro di investimento che, attraverso il credito bancario, anticipasse del tutto i valori agli imprenditori senza per questo che ci fosse nessuna relazione con la base monetaria esistente. Man mano che i valori anticipati dal credito fossero venuti ad esistere, si creerebbero attività per la copertura del denaro di circolazione, il mercor. Quest'ultimo che non è creato dal nulla come l'anticipazione, verrebbe poi trasferito dalle aziende ai privati (dove per privati si intende tutte le istituzioni diverse da stato, imprese e banche centrali e quindi salariati e risparmiatori). Successivamente parte di esso diventando donor, sarebbe diminuito come per i bolli di Gesell, di una certa percentuale e veicolato a discrezione da privati e imprese a ospedali, scuole ecc..
L'originalità di questo modello sta nel fatto che in questo modo non sarebbe più lo Stato a redistribuire la ricchezza agli altri campi spirituali della vita e pertanto non ci sarebbe più bisogno di un debito pubblico e banche centrali che operino sulla massa monetaria per gestirlo. Si tratta in sostanza di un sistema che avrebbe come conseguenza inevitabile una riforma dei mercati dei capitali.
Una visione del sistema economico libertaria dove esistono associazioni di consumatori e produttori, ed esiste una importante attenzione all'intrapresa e all'innovazione e a un free banking.
Un approfondimento sulle idee economiche di Rudolf Steiner è possibile trovarlo sul libro di Geminello Alvi "L'anima e l'economia" dal quale io stesso ho tratto spunto.
In conclusione ritengo che ignorando Steiner e altri pensatori "eretici" come lui, il mondo accademico che dovrebbe essere per eccellenza il depositario della cultura economica, può rimproverarsi di aver contribuito a creare un sistema perverso e certamente vantaggioso per tutti coloro che, accumulando capitale fittizio, oggi spiegano che non vi è altra alternativa alla mancanza di lavoro e ai sacrifici della povera gente.

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mercoledì 29 febbraio 2012

MERCATO E POTERE

La triste sorte che sta travolgendo oggi il popolo greco, sembra quasi la stessa che all’inizio della sua civiltà ne determinò il fallimento. Scrive a tal proposito Lewis Mumford: “I traffici marittimi portarono ad Atene gran varietà di merci; e poiché i cittadini erano dediti alle arti della politica e della guerra, gran parte del commercio cadde nelle mani di mercanti d’oltremare, venuti dalla Francia, da Cartagine, o da altre terre lontane.[…] Le ricchezze produssero brama d’altre ricchezze.[…] Era arrivato il denaro a turbare l’antico equilibrio. […] Così Demostene lanciò l’ultimo grido d’angoscia sulla loro sconfitta. Subito dopo la Grecia divenne un possedimento coloniale: e dopo ancora un paradiso per turisti colti”. E dove i ricordi del suo grande passato, furono venduti come curiosità ai visitatori e agli antiquari romani (1).

Oggi la storia si sta ripetendo e il fallimento della Grecia trova tutta la sua tragedia nel mercato. In quel mercato che con le sue leggi credute “naturali” si dice rappresenti il male minore e il maggiore dei beni possibili nel mondo reale. Se si trattasse di un vero libero mercato e non di un qualsiasi mercato, forse questo potrebbe essere anche vero. Ciò implicherebbe che si verificassero però le seguenti condizioni:

- Assenza di asimmetrie informative ovvero una perfetta informazione e trasparenza su tutti i dati di tipo economico, finanziario e tecnologico;
- Redditività costante rispetto alle dimensioni aziendali
- Nessun costo contrattuale;
- Mercati completi;
- Perfetta competizione, compresa la immediata convertibilità delle produzioni;
- Legislazione e governo non influenzati dalle imprese;
- Priorità dell’obiettivo del profitto rispetto alla ricerca del potere (2).

Si tratta di condizioni solo teoriche che nella realtà non trovano mai un effettivo riscontro. Stesso ragionamento si potrebbe fare anche in merito all’esercizio della democrazia. Si capisce quindi come il mercato rappresenti, in realtà, un dogma falso e strumentale. Come sostiene Marco Della Luna però, la sua retorica è efficace in quanto produce illusione (opinio legalitas), consenso, obbedienza e ovviamente profitto. Oggi questa retorica si chiama neoliberismo e serve a produrre: indebitamento, finanziarizzazione, monopolizzazione, deregolamentazione, globalizzazione, deindustrializzazione, militarizzazione, precarizzazione, aziendalizzazione (3). A ciò poi va aggiunto lo stato fisco-poliziesco supportato dal sistema bancario e dagli organismi internazionali come FMI, WTO, UE, BCE.

Questo “mercato” ha bisogno di un apparato burocratico-tecnocratico e del monopolio monetario che lo sostenga. Scrive a riguardo Geminello Alvi: “[...] tutte le monete sono sempre per via del signoraggio o dell’inflazione, in decumulo. Ma le rapine estorte dallo stato dando alla sua banca centrale il monopolio delle sue emissioni e imponendone il corso legale hanno superato qualunque estorsione precedente. E le banche centrali hanno scambiato il potere loro concesso dallo stato sulle banche soccorrendolo con le loro emissioni esclusive. Si pensi solo a quanto lucrato per esempio dagli stati in tal modo negli anni settanta con l’inflazione e alla distruzione del debito conseguente.”
Oggi in questo “mercato” continua a legittimarsi quel potere che prima fu riposto in Dio e successivamente nelle democrazie.
Come ebbe a dire W. Goethe: “In verwandelter Gestalt üb’ich grimmige Gewalt” (5).



(1) LEWIS, MUMFORD, La condizione dell’uomo. Bompiani – Milano 1977
(2) NINO, GALLONI e MARCO, DELLA LUNA La moneta copernicana. Nexusuedizioni PD 2008
(3) Ibid.
(4) GEMINELLO, ALVI, Il Capitalismo. Verso l’ideale cinese. Marsilio Editori VE 2011
(5) “In forma mutata esercito crudele potere”

martedì 27 dicembre 2011

L' ITALIA E QUEI LAVORI DI CANTIERISTICA MAI FATTI

Proprio un anno fa, avevo scritto un articolo nel quale segnalavo quali erano, secondo me, le ammaccature della nave Italia sulle quali bisognava intervenire per consentire alla stessa di navigare più serenamente in futuro. A quella sintesi ero giunto dopo tante letture e riflessioni che mi avevano aperto le porte ad una rinnovata e più solida consapevolezza del funzionamento dell'economia e per essa della stessa società.

Ovviamente l'articolo non aveva nessuna pretesa, se non quella di stimolare forse qualche buon lettore ad approfondire e magari anche a sviluppare un possibile confronto costruttivo.

Ma indipendentemente da ciò, da cittadino di questo paese, mi aspettavo che la politica, quella più colta perlomeno, vista la deriva alla quale ci si stava abbandonando, in uno scatto di coraggioso orgoglio, avesse potuto affrontare per tempo qualcuna di quelle "ammaccature" che anch'io, nel mio piccolo, avevo individuato.Purtroppo sappiamo tutti come è andata a finire ed oggi più che mai, per noi cittadini, si prospetta una dura recessione.

Ribadisco il concetto, ci sarà una recessione dovuta al fatto che la pressione del debito non consente nessuna verosimile crescita del PIL. Oltretutto la manovra che i "tecnici" hanno approntato, servirà semplicemente ad abbattere ulteriormente i consumi allargando così il problema occupazionale.

Paradossalmente ci sarà anche una crescita dell'inflazione che, si badi bene, non deriva da un eccesso di moneta, ma al contrario proprio dalla scarsità artificiale della stessa nel sistema. Infatti la "rarefazione monetaria", abbinata ad una più elevata pressione fiscale, inevitabilmente porta a tensioni al rialzo sui prezzi. Ma se i prezzi aumentano e i consumi in proporzione diminuiscono si avrà quella situazione nota agli economisti come stagflazione ovvero la presenza simultanea di inflazione e disoccupazione.

Prima di chiudere questo mio ultimo articolo del 2011, vorrei però fare ancora alcune brevi riflessioni sul concetto di PIL e di Globalizzazione.

Adottando il criterio guida del PIL nella nostra società, abbiamo rinunciato alla politica a tutto vantaggio di un governo della finanza. Se il PIL infatti riflette il volume d'affari delle imprese, è chiaro che ogni scelta sarà indirizzata verso qualsiasi cosa che rappresenta consumo anche se inutile. Infatti se questo è il criterio al quale ci siamo conformati, non dovrebbe sembrarci strano che degli ortaggi che si producono (per quanto ancora?) anche in Italia, vengano trasportati in aereo da ogni parte del mondo per essere consumati sulle nostre tavole. Se poi quei trasporti aerei inquinano e consumano risorse inutilmente, poco importa purché il PIL goda di buona salute.

Una volta le imprese nascevano per soddisfare veri bisogni, ora vengono concepite solo per crearli artificialmente all'infinito senza per questo mai appagarli in una logica perversa dove si incentivano le dipendenze e si disincentivano le autosufficienze.

Eppure per chi conosce la teoria dei vantaggi comparati dell'economista David Ricardo, sa che quanto appena detto rappresenta un aspetto positivo del commercio globale, infatti secondo tale teoria, tutto ciò è perfettamente razionale in quanto consente di realizzare la massima efficienza produttiva ed una più equa redistribuzione della ricchezza e del benessere.

Peccato però che anche questa teoria, come quella della concorrenza perfetta, nella pratica sia disattesa a causa dei molti presupposti falsi su cui si fonda.

Volendo fare un esempio concreto di sperequazioni e iniquità derivanti dai vantaggi comparati, si può far riferimento agli accordi che in passato furono presi fra il Regno Unito e il Portogallo. Mentre il Regno Unito si dotava di fabbriche e macchine per la tessitura, il Portogallo, povero e arretrato, si specializzava nella produzione della lana da fornire ai produttori tessili dell'isola. Il risultato fu che il Portogallo rimase anche per questo motivo un paese povero e dipendente, mentre il Regno Unito divenne una potenza industriale in grado di imporre i suoi prezzi anche ai suoi stessi fornitori (1). Se vantaggi comparati quindi ci furono, è evidente che questi andarono tutti al Regno Unito.

(1) Nino Galloni, Marco Della Luna, La moneta copernicana, Nexus Edizioni,  Due Carrare (PD) 2008
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domenica 13 novembre 2011

LA VIA D'USCITA




Ci troviamo nel pieno di una tempesta finanziaria ed economica che inevitabilmente ci travolgerà. La necessità del decumulo del capitale ha già imposto al paese tutte quelle regole di “buona condotta” che dovranno essere rispettate affinché non sia additato come inaffidabile e indegno. Privatizzazioni, riduzione del welfare, svendita del patrimonio pubblico saranno i prossimi provvedimenti che la politica dovrà perentoriamente adottare per tenere la nave a galla secondo i dettami dell’attuale sistema finanziario e bancario. Ovviamente tutti i costi di queste “manovre ormai standardizzate”, (definirle politiche sembra un’azzardo) ricadranno pesantemente sulla maggior parte dei cittadini del paese senza che nessun governo, né di destra, né di sinistra o “tecnico”, al di là della solita retorica, potrà o vorrà evitare.

L’unica vera via di fuga da questa economia ormai imbrigliata in un formalismo che ha confuso i mezzi con i fini, è quella di un risveglio radicale delle coscienze. Se ciò avvenisse, forse potremmo finalmente scoprire che è possibile passare da un’economia della scarsità ad una più abbondante ed equa e in sintonia con le esigenze dell’uomo. Ma un cambiamento di questa portata, per essere in grado di aprire nuovi orizzonti e grandi opportunità, ha bisogno prima di tutto di dotarsi di onestà intellettuale e di un pensiero libero da pregiudizi e ideologie. Se si riuscisse in questo esercizio, sarebbe finalmente possibile mettere in discussione antichi dogmi e spauracchi di ogni genere per avviare così una pacata e democratica riflessione sulla creazione e gestione della moneta.

Rendendo i cittadini consapevoli di come funziona lo strumento monetario, si avrebbe prima di tutto il vantaggio che nessuna “autorità” potrebbe impadronirsi arbitrariamente e senza legittimità del mezzo. Parafrasando la famosa frase di quel Georges Clemenceau a proposito della guerra, potremmo finalmente dire che: “La moneta è una cosa troppo seria per lasciarla ai banchieri”.

Tuttavia un cambiamento radicale in questo senso, dovrebbe anche mettere in guardia sul fatto che la moneta, se non gestita con la dovuta attenzione, invece di agevolare adeguatamente gli scambi e le attività economiche, rendendole floride, rischia di trasformarsi in una spirale inflattiva assolutamente da scongiurare.

Tutto ciò implica che anche le spese dello Stato dovrebbero essere orientate prevalentemente a investimenti utili alla collettività (infrastrutture essenziali di base.) e solo per una residua parte di esse alla spesa corrente che sarebbe, a quel punto, finanziata esclusivamente dalle imposte.

Pur trattandosi di una soluzione radicale, rimane comunque da sciogliere il nodo cruciale di come farla passare attraverso le istituzioni repubblicane. Di certo con un governo dimissionario poco incline a far legiferare e con il fiato sul collo della finanza bancaria, le possibilità sembrano ridursi ad un lumicino. Ma quando si arriverà veramente a raschiare il fondo, le vie del Signore potrebbero essere infinite.

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martedì 4 ottobre 2011

IL DENARO: UNA RAZIONALE ILLUSIONE

Circa una decina di anni fa lo scrittore Jeremy Rifkin nel suo libro “L’era dell’accesso”, ipotizzava come la società dell’informazione del nuovo secolo, sarebbe stata quella, nella quale, l’uomo si sarebbe finalmente affrancato dalla “schiavitù” del lavoro ed avrebbe sperimentato così una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e del benessere. Tuttavia lo stesso autore, non nascondeva anche le insidie che il potere dei “nuovi tiranni” avrebbe cercato di perpetrare ai danni dei popoli attraverso la gestione dell’accesso ad ogni attività e sulla possibilità, da parte degli stessi, di controllare la vita di ogni singolo individuo. Oggi quell’ipotesi, per certi versi, sembra si stia avverando. Siamo certamente una società più connessa e quindi più informata. Ma, proprio in conseguenza di ciò, avendo acquisito maggiore consapevolezza, stiamo sperimentando come l’esercizio della democrazia sia sempre più un tentativo illusorio di raggiungere l’orizzonte.

Per comprende meglio questo aspetto, basti pensare a come gli assetti costituzionali degli stati in generale, ci abbiano fatto assurgere allo status di cittadini, dimenticandosi però, di lasciarci quel diritto di base fondamentale per essere tali e cioè la sovranità monetaria.

Non si capisce infatti come mai, tutti dipendiamo per la nostra vita dal denaro ma, guarda caso, proprio su quello, non possiamo esercitare, da veri cittadini, nessun potere sovrano. Molto spesso si dimentica volutamente di dire che, a dare valore e fiducia al denaro, sono i popoli con il loro lavoro e non certo una stampante di qualche “autorevole” ufficio autorizzato per legge a crearlo e venderlo come se si trattasse di una risorsa scarsa.
Nella millenaria, e per certi versi affascinante, storia del denaro, tuttavia va detto che il potere di batter moneta non è mai stato una prerogativa del popolo, ma solo del sovrano. Oggi però la storia ci sta insegnando che quella geniale invenzione, volta a: facilitare gli scambi, a misurare il valore, ad essere mezzo di pagamento, diventando anche pura credenza di deposito di ricchezza, ci sta imponendo una vita sempre più disumana.

Il denaro non ha bisogno di alcuna copertura, non ha bisogno di alcuna risorsa esterna che gli dia valore, non ha costi elevati e né un limite di producibilità (oltretutto oggi si è persino smaterializzato per essere solo bit elettronico).

L’unico limite che gli si impone è quello di essere utilizzato in modo opportuno affinché possa tradursi in beni e servizi reali. Quando lo si distrae da questa funzione fondamentale, lo si tradisce a favore di un atto predatorio e di esproprio gratuito della ricchezza creata dal lavoro. Ecco perché denaro e sovranità monetaria giocano un ruolo cruciale nella produzione e nella distribuzione della ricchezza.

Di quanto il denaro fosse importante nel determinare il corso della storia lo aveva capito a suo tempo anche Karl Marx ma oggi, sembra quasi che ce lo siamo dimenticato infatti, nonostante lo rincorriamo sempre più freneticamente, non ci mettiamo mai a riflettere sulla sua vera natura. Ci vantiamo di essere una società razionale e scientifica ma poi crediamo ancora che il denaro incarni una qualche entità concreta.

Una piena e diffusa comprensione di cosa sia il denaro e di come esso viene creato, utilizzato e gestito, significherebbe per i popoli fare un salto di civiltà. Lavoratori autonomi, dipendenti, risparmiatori, contribuenti, etc, capirebbero che con il loro lavoro scambiano ricchezza con il nulla e quindi, con tutta probabilità forti di questa consapevolezza, potrebbero rivendicare una gestione più democratica e più giusta da parte delle istituzioni e/o organizzazioni private alle quali hanno “delegato” la gestione del denaro e quindi, della loro stessa sovranità monetaria.

Se il denaro è unione del presente con il futuro, una sua monopolistica e affaristica gestione privata non consente di sviluppare nessuna progettualità a favore delle nuove generazioni che, per questo, saranno sempre più identificate come cittadini del nulla. Il denaro è una delle invenzioni dell’uomo fra le più efficaci e come dice Niall Ferguson nella frase di chiusura del suo libro dal titolo “Ascesa e declino del denaro”: “Non è colpa dello specchio se riflette la bellezza e allo stesso tempo, tutti i difetti dell’uomo”.

Perseverare però nel gioco folle di creare denaro dal denaro in un avvitamento senza fine generando debito,usura e miseria, servirà solo a creare un mondo triste, grigio e fatiscente dove, anche tutti gli attuali John Law ,si sentirebbero, prima o poi, inevitabilmente a disagio.

sabato 16 luglio 2011

IL TAPIS ROULANT

E’ arrivato il momento dell’Italia. Il suo debito ormai esorbitante, ha necessariamente bisogno di un correttivo altrimenti il sistema va in default. Proprio in queste ore si sta approntando una pesantissima manovra economica che, nel migliore dei casi, renderà molti italiani ancora più poveri e frustrati di fronte ad un sistema che sembra voglia solo vessarli e renderli inadeguati. Con tutta probabilità, molti imprecheranno verso l’insensibilità e l’egoismo di coloro che presumibilmente riterranno responsabili del loro malessere e delle loro continue rinunce, ma poi, con un impareggiabile senso di rassegnazione e dignità, ricominceranno a guardare alla loro vita cercando di tenere a bada quell’incubo onnipresente di perenne scarsità.


Eppure anche se può sembrare strano, la colpa di quanto avviene, solo in parte può addossarsi a qualche soggetto in modo specifico. In realtà l’intera economia “moderna” è strutturata come un grande piano inclinato dal quale ogni singola ricchezza che viene creata, è destinata a scivolare via inesorabilmente verso un punto più in basso. Si tratta di uno squilibrio creato ad hoc in modo da poter approfittare all’occorrenza di risorse produttive a basso costo. Quando poi un’area è stata sufficientemente sfruttata e quel mercato non garantisce più alti profitti, quella stessa area viene abbandonata a se stessa per altri nuovi luoghi da sfruttare.

Questi squilibri sistemici sono creati semplicemente attraverso il debito infinito e la scarsità artificiale che si crea grazie all’utilizzo del denaro reso anch’esso artificialmente scarso.

In questo modo il sistema monetario basato sulla moneta-debito, si trasforma in un tapis roulant sul quale è necessario correre incessantemente e freneticamente per inseguire una crescita perpetua malgrado la qualità della vita in media rimanga stagnante. Ciò significa che, per rimanere allo stesso posto di partenza, il costo del denaro (o tasso d’interesse) deve determinare il tasso medio di crescita economica. Una crescita ormai esasperata che sta esaurendo tutte le risorse del nostro pianeta.

Competizione e crescita sono quindi ingredienti indispensabili per rimanere saldi sul tapis roulant e a poco serve imprecare contro qualcuno se le nostre vite perdono ogni giorno momenti preziosi della loro esistenza. Nessuno può ascoltarci perché tutti sono concentrati a reperire con sempre maggior fatica la propria dose di interessi da dare al sistema.

Finché si continuerà ad ascoltare questa sirena non c’è via di scampo, ma se solo provassimo a fermarci su quel tapis roulant, il castello di carte crollerebbe immediatamente e a nulla servirebbero i continui appelli alla crescita e alla competitività da parte di questa o quella autorità.


Milano 14/07/2011

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