Ogni cittadino appartenente ad un paese sviluppato, ha almeno due strumenti a disposizione per misurare il proprio stato di “salute”.
Il primo strumento è il termometro, comune aggéggio in grado di misurare la temperatura corporea ed individuare la presenza di febbre.
Il secondo invece, è uno strumento un po’ più singolare che serve a misurare principalmente la “salute economica” (intesa come ricchezza) del paese in cui si vive e per esso, quella di ogni singolo cittadino.
Per quanto riguarda il primo strumento, mi limito semplicemente a dire che sul mercato si possono trovare dei prodotti all’avanguardia anche con tecnologie digitali.
Sul secondo invece, vorrei dire qualcosa di più, anche perché, mentre il primo viene utilizzato solo in determinate circostanze della nostra vita (febbre), l’altro rappresenta ormai, quasi una presenza costante e a volte …inquietante.
Diciamo subito che stiamo parlando del PIL o meglio del Prodotto Interno lordo.
Contrariamente al termometro però, quando il PIL sale le cose vanno bene, il paese cresce e tutti siamo più ricchi e contenti mentre, quando il numero percentuale che lo identifica ristagna o addirittura scende, la ricchezza diminuisce e con essa, la nostra salute psicologica (…e soprattutto di questi tempi, rischia di essere compromessa anche la nostra salute fisica).
Senza entrare in inutili tecnicismi, potremmo dire semplicemente che il PIL si compone del valore, a prezzo corrente, di tutto ciò che è prodotto o venduto nel corso dell’anno in un dato paese.
La nascita di questo singolare “termometro dell’economia”, sembrerebbe risalire al dipartimento del commercio USA che dopo Pearl Harbour, grazie al contributo di un certo Gilbert ed di altri economisti, introdusse la nozione di prodotto lordo comprendente i tributi indiretti in luogo del reddito nazionale al netto degli ammortamenti e dei tributi diretti.“La ragione di tale cambiamento fu poi data parzialmente dallo stesso Gilbert con esplicito riferimento all’economia di guerra al fine di occultare la pressione fiscale attraverso una modifica del divisore” (1).I più esperti della materia certamente avranno già colto la peculiarità dell’“illusione fiscale” (2) generata da questa costruzione ad hoc. Ma forse, la cosa più importante da sottolineare, è che il PIL rappresenta un numero costruito per approssimazione misurante in maniera parziale, le attività e le produzioni umane.
Per facilitare la comprensione, riporto un esempio fatto qualche anno fa da uno dei più grandi economisti del ‘900, J.K.Galbraith:”…una città ben gestita, con parchi ben tenuti, strade pulite e sicure può avere un’incidenza minore sul PIL rispetto ad un’altra che non ha nessuna di queste qualità ma un’industria e un commercio più attivi..” (3) .
Ancora, nel calcolo del PIL, per misurare il progresso economico e sociale, non rientra l’accrescimento culturale, la fruibilità delle città, il godimento di un’opera d’arte, la qualità e la salubrità dell’ambiente e neanche il prezioso (e amorevole) lavoro delle nostre mamme nella gestione domestica della casa. Al contrario, viene considerato il numero di Suv venduti (senza alcun rifermento alla loro sostenibilità sulle nostre strade), il numero di prodotti di carta venduti (indipendentemente dal numero di alberi distrutti), ecc. ecc..
Inoltre, visto che i maggiori artefici della crescita del PIL sono le imprese con le loro produzioni, potrebbe anche verificarsi il fatto paradossale per il quale una grande impresa nazionale, a seguito di una sua particolare posizione dominante sul mercato, sia in grado da sola con le sue vendite, di far salire il PIL e quindi la ricchezza del paese, nonostante la maggior parte delle altre imprese langua in stato di grave difficoltà.
Certamente l’aumento del PIL ha dei vantaggi oggettivi, in quanto esso indica l’incremento di reddito, di occupazione e di molti beni materiali utili alla nostra vita. Ma il vero benessere, la qualità della nostra esistenza, non può essere legata solo a questo misuratore. Cito ancora Galbraith: “..l’arte di Firenze, quel gioiello di creatività civica che è Venezia, e poi Shakespear e Wagner vengono da società il cui prodotto interno lordo era modesto” (4).
Dopo anni di dibattiti sull’argomento, sembra che si comincino a sperimentare altri indicatori più consoni che, nel peggiore dei casi, dovrebbero affiancare il PIL in una più corretta misurazione del nostro benessere. L’impresa non è certo facile, in quanto, i nuovi termometri economici dovranno riferirsi ad aspetti della vita di carattere qualitativo.
Una cosa però è certa: indipendentemente da come verranno chiamati, siano essi BIL o FIL (Benessere Interno Lordo o Felicità Interna Lorda), avranno la grande responsabilità di rappresentare una realtà più oggettiva della nostra qualità della vita per non illudere (e/o disilludere) le generazioni future.
Alberto Cacciatore,
Milano, 9 novembre 2009
pubblicato su www.galatina2000.com
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Bibliografia:
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1.Marco Della Luna & Antonio Miclavez - Euroschiavi 3a ed. Arianna Editrice Casalecchio (BO) 2007
2.Da Euroschiavi numero 202 di moneta e credito – giugno 1998, rivista pubblicata da BNL, intervento professor Francesco Forte “La misura della pressione fiscale in rapporto al prodotto interno lordo in luogo del prodotto interno netto: un capitolo dell’illusione fiscale”;
3.John Kennet Galbraith – Sapere tutto o quasi sull’economia Ed. Saggi Mondatori Milano maggio 1982.
4.John Kennet Galbraith – The Economics of innocent Fraud (L’economia della truffa) RCS libri Milano maggio 2004